Iqbal, una storia di (triste) riscatto

Iqbal Masih iniziò a lavorare a 4 anni in una fabbrica di mattoni a Muridke, in Pakistan, non lontano da Lahore. Che un bambino di 4 anni sia costretto a lavorare è qualcosa di talmente abominevole che fa male solo raccontarlo. I genitori sono poverissimi e pieni di debiti, la madre non ha i soldi per fare un’operazione e quindi chiede un prestito a un commerciante di tappeti. L’equivalente di 26 dollari. In cambio di questi soldi il piccolo Iqbal, che ora ha 5 anni, deve lavorare per lui, fino a saldare completamente il debito. E così a soli 5 anni inizia il suo lungo calvario: legato a un telaio deve intrecciare i nodi dei tappeti, velocemente, con le sue piccole dita, per circa 10-12 ore al giorno. Denutrito e stremato cercherà ripetutamente di fuggire, ma sarà sempre ritrovato e punito molto duramente, anche rinchiuso per ore in una cisterna sotterranea senza aria.

Finché un giorno Iqbal riesce a sgattaiolare dalla fabbrica per unirsi a un corteo. Una manifestazione per i diritti dei lavoratori organizzata dal Fronte per la Liberazione dal lavoro schiavistico, un’organizzazione che lotta contro l’impiego di manovalanza coatta, per i diritti dei lavoratori. Iqbal è un bambino, ha solo 9 anni, non ha mai sentito parlare di sindacati, diritti, libertà. Ma capisce che sono cose che lui e gli altri bambini come lui non hanno. Allora prende la parola, e racconta davanti a tutti quello che succede nella fabbrica degli orrori. Cosa subisce quotidianamente. Cosa subiscono troppi bambini in Pakistan. Iqbal non è un sindacalista, non ha mai parlato prima in pubblico, non è nemmeno mai andato a scuola. Ma il suo discorso, semplice e toccante, scuote le coscienze dei presenti e i giornalisti lo riportano sulla stampa locale. Tornato in fabbrica, Iqbal si rifiuta di continuare a lavorare a quelle condizioni disumane. Viene picchiato selvaggiamente ma non cede, e alla fine lui e la sua famiglia saranno costretti a scappare, in pericolo per le minacce ricevute dal padrone della fabbrica di tappeti. Sarà Eshan Ullah Khan, un giornalista e sindacalista (in passato torturato e imprigionato per il suo impegno civile), ad aiutare Iqbal, liberarlo dalla schiavitù e permettergli finalmente di andare a scuola. Iqbal vuole studiare per diventare da grande un avvocato, per lottare per i diritti dei bambini.

Così Iqbal diventa il simbolo della lotta allo sfruttamento minorile, viene invitato a conferenze e convegni in tutto il mondo per raccontare la sua drammatica esperienza e sensibilizzare la comunità internazionale sulla piaga del lavoro (o meglio schiavitù) minorile. Per il suo impegno vince anche un premio di 15.000 dollari, ma lui deciderà di donare l’intero importo per finanziare una scuola nel suo Pakistan, per cercare di aiutare altri bambini come lui. Perché solo se i bambini studiano diventano consapevoli dei loro diritti, e solo se sono consapevoli dei loro diritti, riusciranno a liberarsi dalla schiavitù. L’attivismo di Iqbal mette sotto i riflettori la drammatica situazione pakistana, per cui migliaia di bambini schiavi saranno liberati e, in seguito alle pressioni internazionali, il governo pakistano finalmente decide di chiudere molte fabbriche di tappeti che utilizzano bambini come manodopera. Ma tutto questo ovviamente dà molto fastidio a chi invece sui bambini lucra senza vergogna. E così il 16 aprile del 1995, Iqbal, un bambino di 12 anni che aveva osato ribellarsi allo sfruttamento, viene ucciso con diversi colpi di fucile mentre va in bicicletta.

In memoria di Iqbal, il 16 aprile ricorre la giornata internazionale contro la schiavitù infantile: nel mondo ci sono ancora oggi 150 milioni di bambini (dati UNICEF) costretti a lavorare in condizioni pessime, sfruttati e maltrattati, senza diritti e senza tutele. Ma come disse Iqbal: “Nessun bambino dovrebbe impugnare mai uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite.»

Fonte: pagina fB “La farfalla della gentilezza