Etty Hillesum, da Auschwitz all’aiuto a Dio

«Si vorrebbe esser un balsamo per molte ferite». Con queste parole si conclude il Diario scritto da Etty Hillesum, giovane ebrea olandese che il 7 settembre 1943 fu deportata ad Auschwitz dove morì, secondo un rapporto della Croce Rossa, il 30 novembre 1943, 75 anni fa. Nata nel 1914 in Olanda, a Middelburg, in una famiglia ebrea non praticante, la sua vita è una autentica conversione all’amore, all’incontro col Dio mistico e misericordioso. Ci ha lasciato un’eredità preziosa di parole, saggezza, testimonianza. Ringraziamo il prof. Zaffini, che ci ha inviato questa poesia di Etty Hillesum, aiutandoci a recuperarne la memoria.

Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi.

Stanotte per la prima volta ero sveglia

al buio con gli occhi che mi bruciavano,

davanti a me passavano immagini

su immagini di dolore umano.

Ti prometto una cosa, Dio,

soltanto una piccola cosa:

cercherò di non appesantire l’oggi

con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani –

ma anche questo richiede una certa esperienza.

Ogni giorno ha già la sua parte.

Cercherò di aiutarti

affinché tu non venga distrutto

dentro di me,

ma a priori non posso promettere nulla.

Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me,

e cioè che tu non puoi aiutare noi,

ma che siamo noi a dover aiutare te,

e in questo modo aiutiamo noi stessi.

L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi,

e anche l’unica che veramente conti,

è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio.

Forse possiamo anche contribuire a disseppellirti

dai cuori devastati di altri uomini.

Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far molto

per modificare le circostanze attuali

ma anch’esse fanno parte di questa vita.

Io non chiamo in causa la tua responsabilità,

più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi.

E quasi a ogni battito del mio cuore,

cresce la mia certezza: (…)

tocca a noi aiutare te,

difendere fino all’ultimo la tua casa in noi.

Esistono persone che all’ultimo momento

si preoccupano di mettere in salvo

aspirapolveri, forchette e cucchiai d’argento –

invece di salvare te, mio Dio.

La sofferenza non è al di sotto della dignità umana.

Cioè: si può soffrire in modo degno, o indegno dell’uomo.

Voglio dire: la maggior parte degli occidentali non capisce l’arte del dolore,

e così vive ossessionata da mille paure.

E la vita che vive la gente adesso non è più una vera vita,

fatta com’è di paura, rassegnazione, amarezza, odio, disperazione.

Dio mio, tutto questo si può capire benissimo:

ma se una vita simile viene tolta, viene tolto poi molto?

Si deve accettare la morte, anche quella più atroce, come parte della vita.

E non viviamo ogni giorno una vita intera,

e ha molta importanza

se viviamo qualche giorno in più, o in meno?

(…)

Stamattina all’alba sono saltata giù dal letto

e mi sono inginocchiata alla finestra.

L’albero era immobile nell’alba grigia e silenziosa.

Ho pregato: mio Dio, concedimi la pace grande e potente della tua natura.

Se vuoi farmi soffrire, dammi il dolore grande e pieno,

non le mille, piccole preoccupazioni che consumano completamente.

Dammi pace e fiducia.

Fa’ che ogni mia giornata sia qualcosa di più

che le mille preoccupazioni per la sopravvivenza quotidiana.

E tutte le nostre preoccupazioni

per il cibo, i vestiti, il freddo, la salute,

non sono forse altrettante mozioni di sfiducia nei tuoi confronti, mio Dio?

E non ci castighi forse prontamente –

con l’insonnia, e con una vita che non è più una vita?

(…)

Amo così tanto gli altri perché amo in ognuno un pezzetto di te, mio Dio.

Ti cerco in tutti gli uomini e spesso trovo in loro qualcosa di te.

Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi.

Stanotte per la prima volta ero sveglia

al buio con gli occhi che mi bruciavano,

davanti a me passavano immagini

su immagini di dolore umano.

Ti prometto una cosa, Dio,

soltanto una piccola cosa:

cercherò di non appesantire l’oggi

con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani –

ma anche questo richiede una certa esperienza.

Ogni giorno ha già la sua parte.

Cercherò di aiutarti

affinché tu non venga distrutto

dentro di me,

ma a priori non posso promettere nulla.

Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me,

e cioè che tu non puoi aiutare noi,

ma che siamo noi a dover aiutare te,

e in questo modo aiutiamo noi stessi.

L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi,

e anche l’unica che veramente conti,

è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio.

Forse possiamo anche contribuire a disseppellirti

dai cuori devastati di altri uomini.

Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far molto

per modificare le circostanze attuali

ma anch’esse fanno parte di questa vita.

Io non chiamo in causa la tua responsabilità,

più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi.

E quasi a ogni battito del mio cuore,

cresce la mia certezza: (…)

tocca a noi aiutare te,

difendere fino all’ultimo la tua casa in noi.

Esistono persone che all’ultimo momento

si preoccupano di mettere in salvo

aspirapolveri, forchette e cucchiai d’argento –

invece di salvare te, mio Dio.

La sofferenza non è al di sotto della dignità umana.

Cioè: si può soffrire in modo degno, o indegno dell’uomo.

Voglio dire: la maggior parte degli occidentali non capisce l’arte del dolore,

e così vive ossessionata da mille paure.

E la vita che vive la gente adesso non è più una vera vita,

fatta com’è di paura, rassegnazione, amarezza, odio, disperazione.

Dio mio, tutto questo si può capire benissimo:

ma se una vita simile viene tolta, viene tolto poi molto?

Si deve accettare la morte, anche quella più atroce, come parte della vita.

E non viviamo ogni giorno una vita intera,

e ha molta importanza

se viviamo qualche giorno in più, o in meno?

(…)

Stamattina all’alba sono saltata giù dal letto

e mi sono inginocchiata alla finestra.

L’albero era immobile nell’alba grigia e silenziosa.

Ho pregato: mio Dio, concedimi la pace grande e potente della tua natura.

Se vuoi farmi soffrire, dammi il dolore grande e pieno,

non le mille, piccole preoccupazioni che consumano completamente.

Dammi pace e fiducia.

Fa’ che ogni mia giornata sia qualcosa di più

che le mille preoccupazioni per la sopravvivenza quotidiana.

E tutte le nostre preoccupazioni

per il cibo, i vestiti, il freddo, la salute,

non sono forse altrettante mozioni di sfiducia nei tuoi confronti, mio Dio?

E non ci castighi forse prontamente –

con l’insonnia, e con una vita che non è più una vita?

(…)

Amo così tanto gli altri perché amo in ognuno un pezzetto di te, mio Dio.

Ti cerco in tutti gli uomini e spesso trovo in loro qualcosa di te.

E cerco di disseppellirti dal loro cuore, mio Dio.

Lo scandalo della bontà. Audio libro da ascoltare

L’attrice Silvia Siravo legge alcuni passaggi di Hillesum – Video da Rai Nautilus